Magiche Trasparenze - ::: La rete civica del Comune di Albenga :::

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Magiche Trasparenze

Per Informazioni:

 Telefono 0182.571443

Palazzo Oddo - Via Roma

 

Obiettivo della mostra è quello di creare un’esposizione dove poter apprezzare i reperti vitrei recuperati durante gli scavi nelle necropoli di Albenga tra i quali è presente un pezzo unico al mondo, il Piatto Blu. La varietà di forme e di colori e la notevole quantità dei materiali definiscono il complesso dei vetri antichi di Albenga come uno dei più cospicui rinvenimenti degli ultimi anni: esso si compone infatti di quasi 200 pezzi di inestimabile valore.

Attraverso “Magiche trasparenze” si compie un atto importante nella valorizzazione di una città che molto ha dato e molto continua a dare allo sviluppo e alla crescita della scienza archeologica italiana e mondiale, basti pensare all'enorme lavoro qui svolto nella prima metà del secolo scorso dal prof. Lamboglia, padre della moderna archeologia subacquea, ed ai recenti ritrovamenti nell'alveo del fiume Centa e nella zona di Pontelungo ad opera della Soprintendenza dei Beni Archeologici della Liguria.

Di fronte alla sua costa giace una nave oneraria romana il cui carico di anfore è ben esposto al vicino Museo Navale; sempre poco distanti troviamo i resti delle Terme d'epoca imperiale ed il Battistero, straordinario esempio di architettura paleocristiana con uno splendido mosaico trinitario-cristologico; lungo l'antica via Julia Augusta infine, in un contesto di alto valore ambientale, si possono ammirare l'Anfiteatro e i Monumenti Funerari della Necropoli Meridionale dalla quale provengono molti dei manufatti esposti.

Albenga, con il suo centro storico medievale-rinascimentale perfettamente conservato, i suoi stupendi palazzi nobiliari e le imponenti torri patrizie, intende infatti qualificarsi non solo come importante centro agricolo e commerciale, ma anche e soprattutto come città di cultura e meta privilegiata di interesse storico ed artistico.

 

L’esposizione

Il titolo di questa mostra dedicata ai vetri romani di Albenga pone l’accento sullo straordinario, quasi alchemico e quindi “magico” procedimento di trasformazione grazie al quale da un materiale opaco e pesante, quale è la silice, si ottiene un prodotto puro e traslucido, quasi incorporeo, come è il vetro. L’esperienza del vetraio infatti assomiglia in un certo senso a quella dell’alchimista: nella sua officina, simile ad un laboratorio misterioso il vetraio elabora ricette segrete, tramandate di padre in figlio, alla continua ricerca di colori e trasparenze inimitabili.

La ricerca condotta negli ultimi anni dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria, in particolare gli scavi nelle necropoli, oltre a fornire nuove e preziose informazioni sulla topografia di Albingaunum, il cui sito coincide con il centro storico della città moderna, ha portato alla luce un numero cospicuo di reperti, fra i quali quelli esposti in mostra. L’importanza di questi manufatti, che si collocano entro un arco cronologico compreso tra il I° ed il III° secolo d.C., è molteplice.

Insieme ad oggetti più comuni si trovano vetri provenienti dai confini dell'Impero, come il Medio Oriente o l'Egitto, spesso con forme rare o addirittura prive di confronti che, grazie all’associazione nel contesto di rinvenimento con oggetti meglio noti, è possibile datare con certezza. I dati da essi ricavabili forniscono inoltre importanti elementi di valutazione – del tutto nuovi ed inediti – sulla presenza e la circolazione delle merci nel territorio del ponente ligure, per il quale, fino ad ora, i dati a disposizione degli studiosi erano assai scarsi.

La loro varietà offre lo spunto per considerazioni mai tentate prima d’ora, ponendo in risalto la vivacità dello scalo marittimo Albingaunense, dove giungevano prodotti, da quelli di largo consumo a quelli di lusso, dalle aree più diverse del Mediterraneo.

Ognuno degli elementi vitrei in mostra è stato scorporato dal contesto archeologico di provenienza e “ricollocato“, insieme con altri oggetti che ne completano il quadro, nel suo ambito d’uso originario (mensa, cucina, dispensa, farmacia, toilette, gioco, ecc.).

La datazione e l’inquadramento scientifico di ogni reperto sono comunque garantiti da pannelli esplicativi a corredo di ogni teca e da uno specifico capitolo del catalogo a disposizione in cui tutti gli oggetti in mostra sono presentati nel loro contesto originario. Dopo una prima sezione, dedicata alla storia della lavorazione del vetro nella quale viene riprodotta la fornace di un vetraio (proveniente dal Museo dell'Arte Vetraria di Altare), segue l’esposizione dei reperti: prima la sezione dedicata alla cosmesi e alla cura del corpo (balsamari, contenitori per unguenti e profumi, ma anche splendidi gioielli e strumenti per la toeletta), quindi l'ambito relativo alla cucina e al banchetto (piatti, coppe, bicchieri, bottiglie, brocche, tazze, attingitoi, vassoi, anforette, olle, gutti, casseruole, e perfino flute...).

Come elemento di novità, rispetto ad altre mostre sui vetri romani, si è ritenuto interessante presentare le varie tipologie di vetri insieme con alcuni prototipi ceramici o metallici da cui esse derivano per forma e funzione, a sottolineare come il vetro si inserisca nel mercato antico come sostitutivo di altri prodotti, di cui riproduce spesso le forme più comuni. La tappa successiva riguarda in maniera specifica la città di Albenga, attraverso plastici, mappe e ricostruzioni grafiche si cerca di ricreare l'ambiente dell'antica Albingaunum con le sue terme, l'attivissimo porto e la trafficata (per l'epoca...) via che conduceva alle Gallie, la Julia Augusta sulla quale, appena fuori le mura, si affacciavano le necropoli. Sono inoltre presentati due corredi tombali completi con la relativa documentazione fotografica dello scavo archeologico. 

Il Piatto blu

Il pezzo forte della mostra si trova al termine del percorso espositivo: si tratta del piatto blu cobalto su cui sono stati intagliati due putti che danzano in onore di Bacco. E proprio del dio del vino e del delirio mistico, oltre che dei personaggi licenziosi del suo corteo, hanno gli attributi e i caratteri questi due discoli. Il putto alato regge uno strumento musicale a sei canne, chiamato siringa, e un bastone ricurvo da pastore (pedum); l'altro invece stringe il tirso e reca sulle spalle uno strano fardello, un otre di pelle ferina che rimanda chiaramente al nettare degli dei e all'ebbrezza. Il mastro vetraio dopo la colatura a stampo, ha molato e levigato il vetro su entrambe le facce e poi lo ha decorato con intagli alla ruota e al tornio, e infine ha completato l'opera a mano libera con incisioni della precisione di cui neanche un orafo sarebbe capace. Un vero artista che se non è di Alessandria d'Egitto, senza dubbio ai maestri alessandrini ha rubato il mestiere.

L'effetto chiaroscurale del modellato è assolutamente originale, tanto che i putti sembrano avere la profondità di un altorilievo, la plasticità delle forme scultoree, la precisione delle figure cesellate o sbalzate nell'argento alle quali aggiungono la trasparenza e le movenze che solo il vetro sa conferire.

Il ritrovamento del piatto blu cobalto in una tomba romana nei pressi dell'attuale centro di Albenga ha provocato stupore, sia per la sua bellezza, sia perché osava scardinare le porte del santuario cui gli archeologi sono maggiormente devoti: quello consacrato alla cronologia. I primi vetri intagliati con scene figurate si credeva risalissero all'inizio del terzo secolo dopo Cristo. Solo alcuni vetri di fattura similare ma molto frammentari, rinvenuti nel palazzo reale di Begram, in Afghanistan, avevano messo in dubbio questa certezza, ma il fatto che fossero stati scavati negli anni Trenta del secolo scorso con metodi antiquati e inaffidabili, declassava questa ipotesi al rango di supposizione priva di qualsivoglia sigillo scientifico.

Il piatto blu di Albenga, che si trovava accanto a oggetti di un corredo funerario chiaramente risalenti all'inizio del secondo secolo dopo Cristo, retrodata di più di un secolo l'introduzione della tecnica dell'intaglio per realizzare su vetro scene figurate. Certezza confortata anche dalle analisi al radiocarbonio sulle ceneri del defunto e su carboni del legname usato nella pira, visto che si trattava di una tomba cosiddetta "a cremazione diretta", in quanto prevedeva che il cadavere fosse cremato nel luogo di sepoltura. Ammirando gli splendidi oggetti esposti sembra che non siano passati affatto quasi due millenni. Allora come oggi, il vetro era utilizzato per presentare e conservare cibi e bevande, ma anche per contenere o bruciare i profumi, per accogliere unguenti, pomate e farmaci, senza dimenticare la sua funzione decorativa e ludica: assumeva le forme di "bomboniera", di perle di vetro per collane e bracciali, per non parlare delle pedine dei giochi da tavolo.

Come sottolinea il curatore della mostra Bruno Massabò, gli usi del vetro si moltiplicano "dopo l'invenzione rivoluzionaria della soffiatura, intorno alla metà del primo secolo avanti Cristo, e il conseguente sviluppo di una produzione su scala industriale, che fa sì che questo straordinario materiale entri nell'uso comune, soppiantando in molte funzioni la ceramica e il metallo". Prima di questo momento, la particolare complessità della sua lavorazione, lo rendeva un lusso riservato solo all'aristocrazia, e inizialmente esclusivo appannaggio delle mense reali. Nel primo secolo invece, Trimalcione, il bizzarro personaggio del "Satyricon" di Petronio, durante il suo famoso banchetto poteva precisare che "i vetri costano anche poco". Appartengono invece all'omonima versione felliniana le scene di convito, presenti in un suggestivo giardino ricreato dagli allestitori, che calano il visitatore in quell'atmosfera di ebbrezza dionisiaca della quale il vetro era parte integrante.

Ed è in un simile contesto che un oggetto di pregio come il piatto blu, da mero contenitore di vivande, poteva diventare un mezzo di ostentazione, uno status symbol "ante litteram". L'esposizione non mancherà di destare curiosità e meraviglia: l'affascinante suono del vetro reso da un originalissimo carillon, il sottofondo musicale del glass armonium, per il quale hanno scritto opere i più grandi compositori, la possibilità di provare profumi e balsami creati appositamente su “ricette” originali romane, oltre alla bellezza dell'allestimento arricchito da contenuti multimediali, coinvolgeranno l'ospite in un'esperienza multi-sensoriale unica. 

 

 Inaugurazione Palazzo Oddo - 26 giugno 2006

 Magiche Trasparenze